Intervista a Maria Grazia Pisanò
(Direttore ECC-Net Italia)
Secondo una ricerca del BEUC, l’organizzazione europea delle associazioni dei consumatori, confluita a giugno 2022 nella Position Paper “Alternative dispute resolution for consumers: time to move up a gear”, solo un’impresa su tre, in media, accetta di convenire al tentativo di risoluzione extragiudiziale. Una media che comprende, è utile sottolinearlo, anche tutti i casi in cui la legge a livello nazionale lo impone. Una percentuale di accesso alla giustizia alternativa davvero bassa, dunque, trai casi in cui è facoltativo per l’impresa accettare il tentativo di conciliazione. Sono ancora molti, inoltre, i consumatori che “gettano la spugna” al primo reclamo respinto dall’impresa, avendo poca fiducia nelle possibilità di risolvere con ulteriori tentativi e strumenti, rinunciando perciò anche ad avviare la procedura ADR.
Perché questo? La varietà di situazioni nei diversi paesi mostra un quadro fortemente eterogeneo: ci sono paesi in cui l’ADR/ODR funziona discretamente, paesi in cui funziona, ma solo in certi settori, paesi come l’Italia dove di fatto funziona solo nei settori in cui è obbligatoria (come le telecomunicazioni) oppure dove gli accordi bilaterali (con le singole imprese o le loro associazioni di categoria) hanno creato organismi ADR “paritetici” con le associazioni dei consumatori (che tuttavia restano non “notificati” ai sensi della Direttiva UE). Mentre l’Europa conta in tutto circa 400 organismi certificati, la sola Francia ne detiene 94, un panorama frammentato e dispersivo, con ADR di diversa natura e qualità. Il Regno Unito ne ha una cinquantina, sottoposti alla regolazione di en 8 diverse autorità con differenti regole e requisiti, ma settori chiave per i reclami dei consumatori (in numero e valore sia medio che complessivo) restano tuttora scoperti. Parlando dunque dell'architettura complessiva del sistema, la posizione condivisibile del BUEC è che sia auspicabile un solo organismo ADR per settore, con un numero di settori limitato e con un ADR residuale per coprire il resto. La partecipazione delle imprese dovrebbe inoltre essere obbligatoria, come minimo nei settori con elevato numero di reclami e valore medio del reclamo elevato (è il caso dei trasporti, segnatamente nel settore aereo).
L’ADR, infine, non è sempre gratuita per i consumatori (anche questo scoraggia) e le imprese, quando accettano, non sempre partecipano in piena “buona fede”, con volontà di risolvere, oppure addirittura non rispettano gli impegni presi nell’accordo conciliativo. La mancanza di un deterrente giudiziale (la possibilità concreta che se non risolto il caso finisca davanti al giudice, oggi molto remota in Italia per costi, tempi e complessità sproporzionati ai reclami di modesto valore) è certamente fra i fattori che più influiscono.
Riguardo all’ODR, che deve essere obbligatoriamente menzionata fra le possibilità a disposizione del consumatore in caso di reclamo nell’e-commerce, va anche segnalato che molte imprese non informano correttamente i consumatori (indicando ad esempio l’ODR come ente di prima istanza per la presentazione del reclamo, omettendo di fornire i propri dati identificativi necessari alla presentazione dell’istanza sulla piattaforma ODR), oppure informano che l’ODR esiste ma precisano che loro non accetteranno di partecipare al tentativo di risoluzione extragiudiziale in caso di richiesta.
Il Paper del BEUC riporta che l’83% dei casi registrati sulla piattaforma si chiude senza successo per assenza di risposta del Trader. Anche questo mina la fiducia dei consumatori nello strumento, facendo percepire la procedura come una possibile perdita di tempo. Il coinvolgimento delle associazioni dei consumatori (che ben conoscono la casistica dei problemi e delle barriere) potrebbe certamente aiutare a mitigare certe criticità.